Getta l'ancora! Le ancore antiche custodite nel fondo del Museo archeologico dell’Istria
Le ancore di pietra
L’ancora è un attrezzo che viene calato dalla nave in mare allo scopo di fissarsi con il suo peso al fondo e stabilizzare così il natante per non farlo finire in balia del vento, delle onde e delle correnti marine.
L’ancora è coeva all’invenzione delle barche e un tempo, come oggi, faceva obbligatoriamente parte delle attrezzature navali. Agli albori della navigazione consisteva in una grossa pietra legata all’imbarcazione, che con il passare del tempo venne modellata e forata per potervi annodare un cavo. All’inizio la navigazione si svolgeva costeggiando le rive e per ormeggiare i naviganti si servivano pure di ceste riempite di pietre.
I modelli delle navi funebri egizie, attrezzate con pertiche e corde di papiro, evocano pittorescamente gli ancoraggi preistorici.
Nell’Iliade (Il. I, 436; XIV, 77) e nell’Odissea (Od. IX, 136; Od. XV, 498) di Omero, risalenti all’VIII-VI sec. a. C., vi sono riferimenti scritti sulle forme primigenie delle ancore (gr. eune), che erano pietre sgrossate e legate con funi ricavate da materiali animali o vegetali (Fig. 1,1).
Nell’Odissea le ancore sono menzionate nei seguenti versi:
Che del porto vi dirò? Non v’ha di fune /
Né d’áncora mestieri; e chi già entrovvi,
Tanto vi può indugiar che de’ nocchieri
Le voglie si raccendano, e secondi
Spirino i venti.
(Odissea, libro IX, 173)
Frattanto di Telemaco i compagni
Presso alla riva raccogliean le vele.
L’albero declinâr, lanciâro a remi
la nave in porto, l’ancore gittâro,
ed i canapi avvinsero. Ciò fatto,
sul lido uscìano, ed allestìan la cena.
(Odissea, libro XV, 619)
(Traduz. italiana di Ippolito Pindemonte)
Ancore di pietra sono menzionate inoltre dal celebre poeta alessandrino Apollonio di Rodi (III sec. a. C) nel racconto sugli Argonauti (Arg. I, 955) e da Oppiano di Anazarbo (II sec.) nell’Halieutica.
Da semplici pietre le ancore col tempo evolvettero in esemplari irregolarmente oviformi, quadrati o conici, dotati di un foro per annodarvi le funi. Un’ancora di pietra con foro è menzionata pure dallo storico greco Erodoto nel V sec. a. C.
Fig. 1 Schema dello sviluppo delle ancore di pietra e delle ancore litico-lignee. Ai numeri da 1 a 7, 10 e 11 vengono presentati artefatti archeologici ed etnologici, al numero 8 figura il supposto aspetto di un'ancora e al 9 un'ancora di pietra e legno ricostruita (da Kapitän 1984, 35).
Una raffigurazione di ancora litica forata si trova inoltre su un boccale di Cipro dell’VIII-VII sec. a. C. (Fig. 2). La scena rappresenta un ancoraggio effettuato dalla prua di una barca mediante una lunga pertica, la cui estremità opposta era con tutta probabilità appesantita in funzione gravitazionale onde far da contrappeso alla poppa (Fig. 3). Un’ancora siffatta poteva rallentare con il suo peso l’imbarcazione, ma non fissarla in un posto.
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Fig. 2 Il boccale di ceramica dipinta della penisola di Karpas, a nord-est di Cipro, raffigurante una scena di ancoraggio, 750-600 a. C., British Museum (fonte: www.marine-antique.net/Pichet-chypriote-2-1066).
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Le ancore litico-lignee
Dalle ancore litiche con un foro si svilupparono quelle litico-lignee, riconoscibili dalle forme trapezoidali o rettangolari, che presentavano almeno tre fori attraverso i quali erano inseriti rami appuntiti o pezzi di legno aguzzi aventi lo scopo di farle aggrappare meglio al fondo marino (Fig. 1, 5).
Si tratta delle prime forme di ancora in grado di penetrare e di mordere il fondo marino (Fig. 5), un tipo largamente diffuso in tutto il Mediterraneo nel periodo che va dal II al I millennio a. C.
Ancore litiche di questo tipo e di varia forma sono state trovate soprattutto nel Mediterraneo orientale, in Egitto, Libano, Siria, Turchia, Cipro, Grecia e Creta (Fig. 4).
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Sebbene con il passare dei secoli materiali e forme andassero gradatamente mutando e evolvendo, questo tipo di ancora di pietra è comunque ritenuto l’antesignano di quelle odierne. Il suo uso risale alla preistoria, sin da quando gli uomini navigavano in grossi tronchi scavati o piroghe monossili, dalle quali è derivata anche la famosa barca cucita dell’insenatura di Zambrattia presso Umago, datata fra il XII e il X sec. a C. (Fig. 6).
Le ancore di pietra e legno rimasero in uso durante l’età del bronzo e il periodo ellenistico, ma anche in epoca romana. Ancorché lo sviluppo delle imbarcazioni e quello delle ancore procedessero di concerto, l’ancoraggio effettuato con quelle litico-lignee sopravvisse qua e là fino al medio evo. Nei porti mediterranei di Agde nel sud della Francia, di Apollonia in Israele e nei pressi di Palermo in Sicilia sulle ancore di questo tipo, ivi ripescate, si sono conservati degli spuntoni di legno datati al XII-XIII sec.
Il loro sviluppo permette di seguire anche l’introduzione nell’uso e l’evoluzione di una pietra bislunga, poi conformata in una lunga barra litica, che veniva legata ai bracci lignei dell’ancora (Fig. 1, 7-9). Detta barra aveva al centro una scanalatura (Fig. 7) che serviva a inserirvi e annodarvi un ramo ricavato da legno duro. All’inizio si trattò di un ramo solo, in seguito furono due e andarono a formare l’ancora a uno rispettivamente due bracci con barra di pietra.
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Le ancore con ceppo di piombo
Il successivo sviluppo delle ancore seguì di pari passo quello dell’ingegneria navale romana. Verso il 500 a. C. le ancore litico-lignee furono sostituite da quelle in piombo e legno. L’uso del piombo - metallo tenero - per la lavorazione degli elementi dell’ancora trovò larga diffusione e impresse un’accelerazione al processo produttivo dato che, grazie al basso punto fusione (327,5 gradi C), il piombo era facilmente malleabile.
L’ancora con ceppo di piombo era formata da un ceppo di piombo, da una traversa di legno, da bracci di legno (spesso con marre metalliche alle estremità) e da un giunto (raccordo) di piombo (Fig. 9).
Il ceppo di piombo variava per dimensioni e peso in base alla stazza del natante. Esso rappresentava la parte più pesante dell’ancora e constava di due bracci uguali con un’apertura quadrata al centro nella quale veniva inserita un’asta (fuso) di legno, successivamente fusa al ceppo di piombo. Agli inizi i ceppi furono fissi, in seguito vennero modificati in modo da renderli mobili.
Sulle barre o ceppi erano tavolta impressi il sigillo della bottega nella quale erano stati fusi, il nome del maestro artigiano, del proprietario o del comandante della nave; c’erano pure dediche alle divinità e figure apotropaiche (Fig. 10).
Uno dei simboli apotropaici preferiti era l’astragalo (gr. astrágalos, lat. talus), un ossicino della zampa di bovini o caprini, che veniva usato come dado in vari giochi d’azzardo (Fig. 11) oppure nelle profezie. Ognuno dei suoi quattro lati rappresentava un determinato numero e, a seconda delle regole del gioco, le diverse combinazioni comportavano una perdita oppure una vincita. Il gioco consisteva nel lancio di quattro ossicini, la faccia convessa dei quali equivaleva a 3 punti, la concava a 4, mentre le due facce più strette portavano 1 o 6 punti. Il risultato peggiore era fornito dalla combinazione in cui tutti e quattro gli ossicini mostravano ognuno la faccia con 1 punto. Tale combinazione era detta Canis (cane). Il lancio più fortunato era considerato quello in cui ognuno degli astragali cadeva su un lato differente ed era chiamato iactus Veneris (il lancio di Venere). Da qui l’uso di riprodurre sulle ancore il „lancio di Venere“ in segno di buon auspicio per la navigazione.
L’attuale forma delle ancore è dunque il risultato di un lungo percorso storico che include lo sviluppo della navigazione, la selezione e l’uso dei materiali più disponibili per la loro lavorazione.
Fig. 8 Elementi lignei di ancora (barra centrale e bracci di legno, attaccati alla barra con zeppe di legno) rinvenuti nell’insenatura di Caska a Pago (fonte: https://gradskimuzejnovalja.hr/senzacionalni-nalaz-novaljskog-podmorja-2/). | Fig. 9 Ricostruzione illustrativa di un’ancora romana (fonte: https://catawiki.com/en/l/43574231-ancient-roman-lead-anchor). |
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Il simbolismo delle ancore
Il significato della figura dell’ancora, per quanto semplice, ha un simbolismo comunque pregnante e presente nelle culture e nelle civiltà più diverse.
Con il suo peso l’ancora blocca il natante e perciò simboleggia stabilità, resistenza, tranquillità e fedeltà. Nel mondo romano l’ossimoro Festina lente, che è la traduzione latina di una massima greca, diffusa dall’imperatore Augusto, e che alla lettera vuol dire "Affrettati lentamente", viene associato alla rappresentazione del delfino con l’ancora (Fig. 12, Fig. 13). Nel significato traslato esso simboleggia la saggezza e l’avvedutezza che devono presiedere alle decisioni veloci.
Nel simbolismo cristiano l’ancora si identifica con l’ultima speranza che rimane all’uomo in determinate traversie della vita. In merito alla speranza nella Lettera agli Ebrei (Heb 6, 19) San Paolo dice che possediamo la speranza come un’ancora dell’anima, affidabile e solida, che penetra nell’intimo oltre al velario... Ancore come prefigurazione della fede cristiana vennero dipinte sui muri delle catacombe romane. Talvolta il loro simbolo appare nell’iconografia di San Clemente perché la leggenda vuole che il santo venisse gettato in mare legato ad un’ancora. L’ancora si associa inoltre a San Nicola, protettore dei bambini, dei viaggiatori e dei marinai.
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I reperti di ancore custoditi nel fondo del Museo archeologico dell’Istria
Il fondo del Museo archeologico istriano custodisce alcuni reperti di ancore, di pietra e di piombo. Il più antico è quello di un’ancora integra di pietra, scoperta sul fondale marino del promontorio di Stoia a Pola, nel 1966 (Fig. 14). Dal materiale d’archivio si apprende che venne trovata da un sub, che di cognome fa Čerin, socio del Centro per le attività subacquee di Pola (CPA Pula), durante una campagna di ricerche sottomarine per conto del Museo, condotta dai sub del Club „Uljanik“ e dal suddetto CPA di Pola. L’ancora venne rinvenuta il 26 agosto 1966, alla profondità di 15 metri, e lo stesso giorno estratta dal mare. Fu un ritrovamento isolato.
Di ancore litico-lignee con tre fori, di cui due servivano ad infilarvi pezzi di legno e uno per annodarvi le funi, nel fondo museale si trovano degli esemplari incompleti: uno fu scoperto sul fondale di Punta Cavallo sotto Cavrano e riportato alla luce nel 2004 nel corso di un’immersione ricreativa, e l’altro è un’ancora trovata nel 2009 nelle acque del Canale di Leme durante un’esplorazione effettuata per la posa del gasdotto sul tracciato Dignano-Umago.
Notevole l’ancora trapezoidale con tre fori recuperata durante un controllo preservativo nel corso dei lavori alla circonvallazione di Fasana nel 2004.
Di recente un’ancora litica integra è stata donata al Museo dal sub Anton Prekalj del club subacqueo „Ugor“ di Orsera, da egli ripescata durante un’immersione ricreativa nelle acque orseresi tra l’Isola Longa e l’insenatura di Orsera, e che in quest’occasione presentiamo nella „Finestra sul passato“.
Di ancore con ceppo di piombo nel fondo museale vi sono alcuni elementi di piombo, dei quali la „Finestra sul passato“ presenta un ceppo e un giunto, ambedue di piombo, provenienti da siti ignoti.
I reperti di ancore depositati nel fondo del Museo archeologico dell’Istria sono solo una piccola parte di quelle ripescate dalle acque istriane: la maggior parte infatti si trova in collezioni private, e un tanto vale in particolare per i ceppi di piombo delle ancore antiche.
Il loro ritrovamento testimonia l’esistenza di approdi e porti, nonché delle aree di navigazione, dove a causa di qualche errore di manovra o del maltempo le ancore finirono e rimasero in fondo al mare (Fig. 15).
Una situazione archeologica ideale è quella in cui un’ancora viene trovata assieme ai resti di un naufragio o di qualche carico di merci che ci possono fornire un quadro del contesto generale del sito, del porto d’imbarco, dell’epoca del naufragio e l’ipotetica rotta seguita.
I reperti di ancore trapezoidali forate in dotazione al Museo archeologico dell’Istria sono ritrovamenti isolati, tuttavia il loro aspetto rimanda alla forma di quelle che erano usate durante la preistoria e molto probabilmente pure in epoca romana. Le ancore litiche del nostro Museo furono ricavate dalla pietra calcare e dall’arenaria, vale a dire da pietra di origine locale, il che indicherebbe che anche la loro lavorazione avvenne in loco.
I reperti di ceppi e di giunti di piombo riescono a fornire, quando i dati archeologici contestualmente al loro uso sulle navi romane siano conosciuti, un quadro generale più distinto. Essi possono permettere di individuare i punti di ormeggio, il luogo in cui l’ancora venne abbandonata in mare a causa di manovre sbagliate o quello in cui cadde accidentalmente dalla nave finendo sul fondo.
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CATALOGO
Ringrazio le colleghe Silvana Petešić, per avermi fornito la rappresentazione del mosaico „La punizione di Dirce“, e Erika Trbojević, per le informazioni sulle monete con incisioni di ancore. Grazie anche al subacqueo Anton Prekalj del club subacqueo "Ugor" di Orsera.
l. Ancora di pietra
Descrizione: Ancora di pietra a forma trapezoidale con foro rotondo per le corde e due incavi quadrati per l’incastro di elementi legnosi. Parzialmente incrostata da organismi marini.
Dimensioni: altezza 31,5 cm, larghezza 28,5 cm, spessore 6 cm, diametro del foro per la corda 3,7 cm, incavo quadrato 1: 6,5 x 4,1 cm, incavo quadrato 2: 6 x 4 cm.
N.ro inv.: PV-2090.
Luogo del ritrovamento: specchio di mare tra l’Isola Longa e Orsera.
Materiale/tecnica: pietra calcare, scalpellatura.
Datazione: dall’età del bronzo all’epoca romana.
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2. Ceppo in piombo
Descrizione: Ceppo plumbeo di ancora. Qui e là coperto da incrostazioni marine.
Dimensioni: lunghezza totale 86,5 cm, braccio 1: lunghezza 37,5 cm, larghezza 5-6 cm; braccio 2: lunghezza 36 cm, larghezza 4,5-6,5 cm; incavo quadrato per incastri:11 x 15 cm.
N.ro inv.: PV – 2091 A.
Luogo del ritrovamento: ignoto.
Materiale/tecnica: piombo, fusione.
Datazione: I sec. a. C. – fine IV sec.
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3. Giunto di piombo
Descrizione: Giunto d’ancora di piombo. In più punti coperto di microorganismi marini.
Dimensioni: altezza 4 cm, larghezza 43 cm-34 cm, lunghezza 8 cm; apertura interna alta 4 cm, larga 6 cm e lunga 33 cm, suddivisa in tre incavi per l’asta e i bracci. Dimensioni degli incavi esterni 12 x 6 cm, al centro incavo di 9 x 6 cm.
N.ro inv.: A-6581/b.
Luogo del ritrovamento: ignoto; recuperato durante le immersioni esplorative del Museo e del CPA.
Materiale/tecnica: piombo, fusione.
Datazione: I sec. a. C. – fine IV sec.
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4. Moneta
Descrizione: denaro romano d’argento di Tito, diametro 1,8 cm, spessore 0,12 cm, massa 3,04 g. Diritto: Testa volta a destra. IMP TITVS CAES VESPASIAN AVG P M. Rovescio: al centro delfino avvolto attorno a un’ancora. Lungo il bordo: TR IX IMP XV COS VIII P P. Zecca: Roma.
N.ro inv.: N - 909.
Luogo del ritrovamento: ignoto, prima del 1996.
Materiale/tecnica: argento, conio.
Datazione: ultimo terzo del I sec., 80 d. C.
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Bibliografia
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Getta l'ancora!
Le ancore antiche custodite nel fondo del Museo archeologico dell'Istria
Mostra
Una finestra sul passato
1. 2. 2022. - 1. 6. 2022.
Autore della mostra e del testo:
Ida Koncani Uhač
Organizzatore ed Editore: Museo archeologico dell’Istria
Rappresentante dell’Organizzatore e dell’Editore: Darko Komšo
Redazione :
Darko Komšo, Adriana Gri Štorga, Katarina Zenzerović
Autore dell’allestimento, veste grafica:
Vjeran Juhas
Autori delle fotografie:
Philippe Groscaux, Vjeran Juhas, Ida Koncani Uhač, Lucio Lorencin, Erika Trbojević
Pulitura del ceppo e del giunto di piombo:
Luana Brhanić
Coordinatrice della mostra:
Monika Petrović
Traduzione italiana:
Elis Barbalich-Geromella
Traduzione inglese:
Neven Ferenčić
Revisione del testo croato:
Milena Špigić
Correzione dei testi:
Irena Buršić, Adriana Gri Štorga, Ida Koncani Uhač,
Milena Špigić, Katarina Zenzerović
Stampa: MPS Pula
Tiratura: 500
Pola, 2022.