Il delfino di pietra del porto romano Pola: Protettore dei naviganti e della vita ultraterrena
Sull’importanza dei porti antichi con ragguagli su Pola
I porti romani (lat. portus) erano dei punti d’approdo economicamente strategici per collegare la terraferma con il mare. Nel mondo antico l’importanza dei porti sottintendeva diversi aspetti, in primo luogo geografici, sociali ed economici. Non vanno poi dimenticati i fattori topografici su cui si basavano la scelta e la pianificazione della loro ubicazione, dove era determinante la posizione geografica favorevole delle insenature che si aprivano lungo le rotte marittime e che lungo le coste istriane non erano poche. In questo contesto quella polese è una delle rade naturali meglio protette dell’Adriatico, riparata sia dai venti meridionali, che sud-occidentali e nord-orientali. In epoca romana rappresentava il luogo in cui i marinai non solo potevano svolgere attività commerciali, ivi comprese le pratiche amministrative, ma anche effettuare riparazioni alle navi e altre mansioni inerenti alla navigazione.
Sull’efficacia produttiva di un porto incidevano vari fattori economici, considerando che per un’economia stabile era necessario che fra lo scalo commerciale (città/porto) e l’agro ci fosse un buon collegamento stradale.
È indubbio che tutti i fattori dianzi detti influirono sulla scelta e sullo sviluppo dei maggiori porti della costa adriatica orientale, quali quelli delle antiche città di Dyrachium, Epidaurus, Narona, Salona, Jader, Pola, Tergeste, Aquileia, ma anche di Ravenna.
Dopo che Augusto ebbe riorganizzato l’Impero, con l’inclusione dell’Istria nella Regio X Venetia et Histria, nell’Adriatico settentrionale si procedette alla costruzione di una rete di importanti scali.
Data la posizione strategica della rada di Pola, nella cui area settentrionale, proprio nei pressi della costa, c’era una fonte di acqua potabile, un approdo vi esistette sin dalla preistoria, dove probabilmente attraccavano barche a remi come quella cucita scoperta a Zambrattia. Peraltro i primi cenni storici sull’approdo polese si devono a Strabone e alla sua Geografia del I sec. a. C., in cui si dice che è situato in un'insenatura simile a un porto naturale, in cui ci sono isolotti adatti all’attracco e ricchi di frutti.
In generale nell’antichità la costruzione di un porto era un’investimento costosissimo indotto dalle necessità del mercato, della politica e delle contingenze economiche, e talvolta anche da ragioni politico-militari. La sua costruzione era regolata da norme giuridiche, che assegnavano alle istituzioni sociali un ruolo significativo. Durante la Repubblica, ma anche in seguito al tempo dell’Impero, gli investimenti finanziari nelle opere pubbliche, nelle quali rientravano pure le infrastrutture portuali, provenivano in prevalenza da appaltatori privati (redemptores) appartenenti al ceto dei censori o degli edili, e un contratto detto locatio conducto stabiliva gli obblighi giuridici per ogni singolo settore.
Dall’aspetto sociale un porto rappresentava il punto di convergenza di culture differenti a scopi di scambio di beni mercantili ovvero di esportazione e distribuzione di prodotti regionali, circostanza ben suffragata, per esempio, dai reperti archeologici recuperati negli strati del porto polese.
I porti del mondo romano erano comunque anche dei luoghi corredati da una particolare scenografia architettonica con edifici che dovevano il loro aspetto ai soldi erogati dai cittadini e dalle amministrazioni civiche; detti edifici spesso erano collegati al foro e abbelliti da portici con colonnati e statue di divinità simboleggianti il mare. Divinità marine come Poseidone, Nereo, Tritone, Glauco o le Nereidi, ninfe marine delle quali le più conosciute erano Anfitrite e Tetide, erano venerate da marinai, pescatori e mercanti, che gli si rivolgevano per chiedere salvezza sia durante la navigazione sia durante la trasmigrazione delle loro anime nel mondo dei morti.
Il delfino di pietra recuperato nello porto romano di Pola
Per quanto non si disponga per ora di prove epigrafiche inerenti all’edificazione del porto polese, che con ogni probabilità assunse forma architettonica nel periodo della massima fioritura urbanistica della colonia (Iulia Pola Pollentia Herculanea) a partire dalla fine dell’ultimo periodo repubblicano (tra il 47 e il 44 a. C.), la maggior parte di dati sulle strutture portuali, il loro aspetto, la vita quotidiana dei marinai, commercianti e abitanti della Pola antica, nonché sulla navigazione e il tipo di imbarcazioni dell’epoca, è stata raccolta durante gli scavi di conservazione archeologica del 2012 e 2013 svolti nell’area della polese via Flaccio.
All’inizio del 2013 furono trovati sotto l’odierno livello stradale resti di un’imbarcazione di legno. Alcuni mesi più tardi nello stesso sito furono esplorate le strutture di barche cucite romane, caratteristiche dell’area nord-adriatica. Le imbarcazioni sono state battezzate „Pula 1“ e „Pula 2“ e vengono datate al periodo fra la fine del II e l’inizio del III secolo.
Le ricerche hanno stabilito che le barche si trovavano nella zona dell’angiporto, probabilmente il mandracchio, che nell’antichità era situato appunto nel settore sudorientale dell’insenatura. Col trascorrere dei secoli gli strati furono ricoperti dai depositi alluvionali, sedimentati lungo il margine meridionale e orientale della città dal ruscello di Prato Grande o Pragrande. A causa dei movimenti eustatici dovuti alle fasi glaciali e dell’azione idrologica, come pure delle attività antropiche, oggi quest’area dista circa 160 metri dalla linea costiera.
Di solito negli strati portuali romani come quello polese si recupera del materiale casualmente o intenzionalmente scaricato in mare. Si tratta di reperti che offrono notizie utili sull’aspetto e il periodo di attività del porto, sulla marineria e i contatti commerciali del tempo e aiutano a interpretare le abitudini di vita degli abitanti delle città antiche.
Uno di questi reperti è un’interessante scultura litica raffigurante un delfino che illustriamo attraverso „Una finestra sul passato“. È probabile che la statua appartenesse a una composizione artistica non identificata adornante l’architettura portuale. Sebbene sulla statua non siano state riscontrate tracce indicanti che facesse parte di un insieme scultoreo, la sua forma e la postura del corpo può far supporre che venisse in seguito interpolata in qualche statua. Il delfino avrebbe potuto infatti essere stato posto in posizione verticale con la testa volta verso il basso e la coda appoggiata ai piedi di un dio o di una ninfa marina.
Il delfino è di pietra calcare e vi sono evidenti le tracce della lavorazione a scalpello. La presenza di datteri di mare (lat. Litophaga litophaga) sul fianco del corpo e di incrostazioni di ostriche (lat. Ostrea edulis) nella zona della coda e delle pinne pettorali rivela che, quando cadde in mare, un lato della scultura spuntava in parte dal fondo marino. Evidentemente questo lato rimase per breve tempo esposto agli influssi del mare e dei bivalvi insediatisi sul reperto. Grazie al fango che in seguito la ricoprì, la scultura si è conservata quasi interamente ed è in buono stato. In base agli altri reperti rinvenuti nello strato SJ. 03, il delfino di pietra viene datato a un lasso di tempo piuttosto ampio, che va dalla fine del II al V secolo.
La simbologia del delfino nell’antichità
Il delfino è una delle figure predilette dall’arte greca e romana. È un essere che si incontra in parecchi racconti mitologici, sempre associato all’acqua e alle metamorfosi. In quest’ultima veste si lega alla leggenda mitologica greca descritta negli inni omerici del VII e VI sec a. C. Si tratta del mito sul ratto del dio Dioniso, rapito dai pirati per essere rivenduto come merce. Per punire i suoi sequestratori Dioniso si trasformò in leone alla cui vista i pirati, terrorizzati, si gettarono in mare. Tuttavia, impietosito, Dioniso decise di trasformare i predatori in delfini che, da quel giorno, onde redimersi, seguono le navi e aiutano i naufraghi. I delfini sono perciò associati alla navigazione e in genere vengono rappresentati come accompagnatori delle divinità marine che soccorrevano navi e naviganti.
Negli inni di Omero vi è pure il racconto del dio Apollo che si trasforma in delfino per condurre le navi nei porti. Nella leggenda si menziona il figlio di Apollo, Eikadios, che, vittima di un naufragio, venne riportato a riva da un delfino.
Plinio il Vecchio ci ha tramandato una bellissima storia che ha per protagonista un fanciullo romano legato da amicizia a un delfino. Vi si racconta che il ragazzino doveva raggiungere ogni giorno la scuola posta sull’altra sponda di un golfo e che poteva farlo grazie al suo amico delfino che ve lo trasportava a cavalcioni.
Nel mondo antico era frequente la raffigurazione di un uomo o di un putto che cavalcano un delfino. Ne è motivo la credenza per cui i delfini rappresenterebbero il collegamento fra il regno dei vivi e quello dei morti, o tra il mondo degli dei e quello degli uomini, sicché erano essi a trasferire i defunti nell’aldilà.
CATALOGO
Descrizione del reperto: Scultura litica raffigurante un delfino con testa prominente e espressivi occhi a mandorla. Nella parte inferiore della testa, nel prolungamento del rostro chiuso, sono riprodotte in bassorilievo le pinne pettorali, una per fianco. Di quelle dorsali rimane un piccolo frammento. La coda è stata modellata in un movimento spiraliforme ed è scolpita in un perspicuo bassorilievo. Tutta la scultura presenta una forma lievemente attorta. Evidenti le tracce di scalpellatura. Un fianco del corpo è danneggiato dall’azione del mare con resti di conchiglie marine. N.ro inv.: PV-2001 A.
Materiale/tecnica: pietra calcare, scalpellatura
Dimensioni: lunghezza 66 cm, larghezza 23,5 cm
Luogo di ritrovamento/data: Via Flaccio – barca 2013, 16/7/2013, SJ.03
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Il delfino di pietra del porto romano Pola:
Protettore dei naviganti e della vita ultraterrena
Mostra
Via Carrara 4, Pola
Una finestra sul passato
2.10. - 3.12.2018.
Autrice della mostra e del testo: Ida Koncani Uhač
Organizzatore ed Editore: Museo archeologico dell’Istria
Rappresentante dell’Organizzatore e dell’Editore: Darko Komšo
Redazione: Darko Komšo, Adriana Gri Štorga, Katarina Zenzerović
Autore dell’allestimento, veste grafica: Vjeran Juhas
Disegno: Ivo Juričić
Autori delle fotografie: Tanja Draškić Savić, Ida Koncani Uhač
Restauro della scultura: Andrea Sardoz
Coordinatrice della mostra: Monika Petrović
Traduzione italiana: Elis Barbalich-Geromella
Traduzione inglese: Neven Ferenčić
Correzione dei testi: Adriana Gri Štorga, Milena Špigić, Katarina Zenzerović, Irena Buršić
Stampa: MPS Pula
Tiratura: 700
Pola, 2018.