Le decorazioni in rilievo su due esemplari di ciotole corinzie

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Il tipo di vasellame romano detto corinzio, di forma cilindrica, con fregio in rilievo
al centro delle pareti, deve il nome all’antica città di Corinto, dove veniva prodotto e dove ne sono stati trovati frammenti in gran quantità. I vasi corinzi furono prodotti dalla seconda metà del II sec. ai primi anni del IV sec. Nel Mediterraneo vennero diffusi tramite le rotte commerciali più frequentate e la loro diffusione è confermata da numerose ricerche archeologiche. Oltre che a Corinto stessa e nel suo circondario, resti di questo tipo vascolare sono stati rinvenuti in notevole numero sulle coste occidentali del Mediterraneo: sulle sponde del Mar Ionio, dell’Italia meridionale, della Francia e della Spagna e soprattutto su ambedue i versanti del Mare Adriatico. Quantitativi minori sono venuti alla luce nella Grecia settentrionale, sulle sponde orientali del Mediterraneo (Asia Minore e Cipro) e nel Nord Africa. Frammenti di vasi corinzi sono stati recuperati sia all’interno di insediamenti – ambienti cultuali e santuari, complessi residenziali, ville e terme -, sia all’esterno degli stessi, ovvero nelle necropoli, dove facevano parte dei corredi funebri e dove molto spesso si abbinavano alle lucerne corinzie.

Venivano prodotti tramite stampi, con fini argille raffinate, e poi rifiniti sulla ruota (tornio) da vasaio. I motivi del fregio venivano decorati a matrice comprimendo
l’argilla nello stampo. Gli ultimi dettagli delle decorazioni, una volta estratti i
manufatti dallo stampo, venivano ritoccati a mano. Prima della cottura, quando
l’argilla era ancora umida, bagnata, i vasi venivano immersi fino all’orlo in un
recipiente contenente il colore; la parte interna veniva invece ripassata a pennello. L’argilla, perfettamente cotta, poteva essere giallastra, grigia o rossastra, mentre il colore della verniciatura esterna variava dall’arancione e dal rosso al marrone.

Le forme di questi vasi sono state classificate da Daniele Malfitana, che le ha distribuite in tre gruppi. Il primo comprende le coppe/pissidi (ciotole cilindriche, il cui tipo più somigliante è il Dragendorff 30); il secondo le coppe/piatti (lat. catinus/  catillus); il terzo i tegami (lat. patera/trulla). Dato che le dimensioni di questi recipienti variano (il diametro dell’orlo può misurare da 6 a 15 cm), anche la terminologia si adegua di conseguenza. In particolare ciò vale per il primo gruppo, dove un piccolo vaso può venir chiamato bicchiere e uno un po’ più grande scodella/ciotola (pisside).

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Le decorazioni dei vasi corinzi sono contenute in fregi rappresentanti scene a
bassorilievo schiacciato. Nella parte superiore i fregi sono separati dall’orlo da
una costolatura sagomata, nella parte inferiore sono invece delineati da un nastro in rilievo. La lavorazione di quest’ultimo oscilla dal semplice nastro sagomato a quello decorato con diversi tipi e combinazioni di cerchietti (globetti, bottoni). Le scene (i motivi) vengono impresse nello stampo dalle matrici e talvolta si notano differenze nella qualità delle impressioni, dovute all’usura delle matrici stesse. Alcuni dei dettagli decorativi non compresi nelle matrici venivano aggiunti a mano con l’uso di un bastoncino, ad es. per rendere l’immagine di un prato o i particolari delle vesti di alcune figure. C’era una matrice apposita per ogni scena, motivo per cui l’ordine delle scene nel fregio poteva cambiare, potevano venir diversamente abbinate o variamente combinate, ma su alcuni vasi l’ordine era sempre lo stesso. Le scene potevano venir separate l’una dall’altra inserendo motivi vegetali tra le diverse matrici, motivi che di solito erano alberelli dal fusto alto e stretto. La loro sequenza era nella maggior parte dei casi fortuita, priva di qualsiasi logica narrativa, tanto che su alcuni recipienti una stessa scena poteva anche ripetersi. L’unica eccezione è rappresentata dal ciclo delle fatiche di Ercole, dove ci sono
due serie di rappresentazioni logicamente sequenziate. Su ogni vaso compaiono infatti solamente le scene pertinenti allo stesso ciclo figurativo.

   
Malfitana ha suddiviso i motivi o scene a rilievo che ornano i fregi dei vasi corinzi
in sette cicli figurativi:
 1. Le fatiche di Ercole.
 2. Rappresentazioni di combattimenti (amazzonomachia?).
 3. Scene rituali (dionisiache).
 4. Banchetti in onore degli dei (teossenie).
 5. Paesaggi.
 6. Motivi vegetali.
 7. Scene „omeriche“

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Si presume che i vasi corinzi servissero per bere o per servire cibo solido e salse. Il loro stesso aspetto e i loro elementi decorativi - le fatiche di Ercole, le scene dionisiache e le teossenie (i banchetti in onore degli dei) - possono venir contestualizzati nella loro destinazione d’uso: il consumo di bevande. Uno degli attributi erculei è lo scyphus, che era una coppa (tazza) usata per bere con due anse impostate al di sotto dell’orlo. Il Cantharus era un attributo di Dioniso: si tratta di un contenitore fondo per bevande, più stretto verso il basso e più largo in alto, con due anse che salgono dal basso, presso la base, elevandosi fino a creare un arco che supera l’imboccatura del vaso. Tutte queste scene sono collegate al consumo di bevande in contesti simposiaci. Nell’Antica Grecia il symposium era un banchetto durante il quale si cantava, si suonava, si recitava e dibatteva, il tutto accompagnato da un grande consumo di vino. D’altro canto, il ritrovamento di vasi corinzi nelle abitazioni, assieme ad altri tipi di vasellame da mensa, inducono a concludere che essi potevano servire anche ad un comune uso quotidiano, non solo per bere dunque, ma pure per servire cibi e salse. Si ritiene inoltre che potessero venir usati anche per contenere essenze, unguenti o polveri (ciprie) profumati.
Durante gli scavi archeologici nel quartiere di S. Teodoro, in via Kandler a Pola, nella primavera del 2005 furono scoperti, fra l’altro, i frammenti di due vasi corinzi, che non molto tempo dopo vennero ricostruiti e che vengono ora presentati in questa mostra.

Ambedue appartengono al primo gruppo definito da D. Malfitana: le coppe/pissidi di tipo 3. Sono di dimensioni maggiori, motivo per cui possiamo definirli ciotole (pissidi). Hanno l’orlo rettangolare estroflesso e pareti pressoché perpendicolari. Sotto l’orlo scorre un nastro liscio, nella parte inferiore sagomato, laddove si inizia il fregio a rilievo. Alla giuntura fra il corpo e il fondo, sotto il fregio, si trova un nastro delimitato da due costolature, ricoperto da globetti (bugnette) in rilievo. Il fondo è quasi piatto con piede anulare. Il fregio in rilievo raffigurato sulla ciotola A-42191 rappresenta scene di combattimento (amazzonomachia?), che, secondo Malfitana, appartengono al secondo ciclo figurativo. Nella prima scena (fig. 1), da sinistra a destra si vede un guerriero a cavallo volto a sinistra (Malfitana, Scena D). Nella sinistra regge le redini e con la destra solleva in alto, sopra la testa, una lancia nell’atto di scoccarla. Indossa una corta tunica, la corazza e

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Fig. 1 Guerriero a cavallo volto a sinistra.   Fig. 2 Guerriero solleva un commilitone caduto.

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un mantello militare che sventola al vento. Il cavallo è ritratto al galoppo, con le zampe anteriori sollevate e piegate. Parte integrante della raffigurazione è l’albero retrostante il cavaliere, che si può notare nell’angolo superiore destro, dietro al mantello.

A destra di questa scena c’è la rappresentazione (fig. 2) di un guerriero che soccorre un commilitone caduto (Malfitana, Scena A). Il guerriero indossa una larga veste arricciata, con la sinistra regge lo scudo, proteggendo sé stesso e il compagno. Con la destra abbassata cerca di afferrare il braccio destro del commilitone per aiutarlo a rialzarsi. Le dimensioni dello spazio sono rese dall’albero in secondo piano, nel rilievo sovrastante la figura distesa.


La scena seguente (fig. 3) è identica alla prima – rappresentazione di un guerriero che monta un cavallo volto a sinistra (Malfitana, Scena D). Come dianzi menzionato, su alcuni vasi le stesse scene potevano venir reiterate. Inoltre, queste immagini del cavaliere con il cavallo volto a sinistra si caratterizzano per il fatto che presentano delle trascurabili irregolarità. Le differenze sono talmente minime per cui non sono necessariamente dovute a due diverse matrici: probabilmente si tratta della medesima scena ritoccata a mano una volta estratto il recipiente dallo stampo.


Sebbene solo in parte conservata, nella scena seguente si discernono chiaramente un guerriero ferito e un trombettiere (Malfitana, Scena I). La figura minore a sinistra rappresenta un guerriero nudo e verosimilmente ferito, che si appoggia con la destra a un bastone. La figura a destra rivela un altro guerriero, più alto di statura, che dà fiato a una lunga tromba che egli sostiene con ambedue le mani. Indossa una lunga tunica che ricade dal suo braccio sinistro alzato.


Della scena successiva (fig. 5) si è conservato un segmento piccolissimo per cui è arduo stabilire che cosa rappresentasse. La supposizione più verosimile è che potrebbe trattarsi di parte di una mano destra e dell’elsa di una spada (pugnale), appartenenti a un guerriero montante un cavallo volto a destra, colto nel momento in cui si appresta a colpire con la spada o con un lungo pugnale (Malfitana, Scena K oppure la sua variante Scena O). Nelle suddette scene il cavaliere cavalca un equino in volata verso destra. Indossa una corazza (lorica squamata), una corta tunica drappeggiata e in testa probabilmente un elmo. Con la sinistra regge la briglia e nella destra una spada o un lungo pugnale.

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Fig. 3 Guerriero su cavallo volto a sinistra.   Fig. 4 Guerriero ferito e trombettiere.


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Fig. 5 Possibile ricostruzione della scena mancante: guerriero con pugnale su cavallo volto a destra.

Fig. 6 Due donne di profilo e affrontate con cesta ricolma di frutta al centro.

 

Sulla ciotola A-42193 sono raffigurati momenti rituali ovvero scene dionisiache che, secondo Malfitana, appartengono al terzo ciclo figurativo. Del rilievo nel fregio si sono conservati due segmenti.

In uno dei due, la prima scena da sinistra a destra (fig. 6) mostra due donne di profilo e affrontate (Malfitana, Scena N). Sono vestite con un lungo chitone. La donna a sinistra è leggermente chinata in avanti e regge fra le mani abbassate una cesta piena di frutta. Al centro della raffigurazione c’è a terra un oggetto che è probabilmente una cesta (liknon?). La figura a destra è completamente curvata, con ambedue le mani allungate verso la cesta. Sullo sfondo figura una tenda drappeggiata sostenuta al centro da una colonna e ai lati da due piccoli tirsi. Il tirso è uno degli attributi di Dioniso, il bastone ricoperto di pampini o di edera con una pigna di pino in cima. Oltre che Dioniso, poteva accompagnare le Menadi e altri partecipanti al culto del dio. Questa scena è separata dalla successiva a destra dall’immagine di un alto e stretto albero, verosimilmente un cipresso.

Alla destra dell’albero (fig. 7) sono raffigurati una Menade e un Satiro (Malfitana, Scena C). La Menade è colta mentre incede verso sinistra. Indossa una lunga veste svolazzante. Nella sinistra reca il tirso, e la destra, che trattiene qualcosa, è abbassata. Il Satiro è raffigurato di schiena nell’atto di incamminarsi a destra. È nudo, a parte una corta cinta sulle reni. Porta sulla spalla sinistra un otre per l’acqua.

Il lato opposto del vaso presenta un secondo rilievo con 4 scene (Malfitana Scena I). A sinistra è raffigurato un giovanetto nudo procedente a destra, che regge con ambedue le mani il lungo manico di un piccolo parasole con il quale ripara a destra la testa di una seconda figura maschile nuda (verosimilmente Dioniso). Il dio si sostiene con la mano sinistra a un lungo bastone, mentre la destra è appoggiata al fianco da cui ricadono le pieghe della veste.

La successiva scena a destra (fig. 9) rappresenta un sacrificio offerto su altare (Malfitana, Scena B). Un personaggio maschile (sacerdote?), indossante una tunica (exomìs), è riprodotto di profilo volto a destra nell’atto di accingersi a un sacrificio offerto su un’ara rotonda a lui di fronte. La sinistra alzata regge un vassoio colmo di frutta, nella destra abbassata tiene invece un’oinochoe. Davanti, su un piccolo piedistallo, c’è un’ara rotonda sulla quale sono disposti quelli che verosimilmente sono dei frutti. La scena è racchiusa fra due alberi, uno per lato, che sono parte integrante della rappresentazione.

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Fig. 7 Menade e Satiro.                                 Fig. 8 Corteo dionisiaco.

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Fig. 9 Scena di offerta sacrificale su altare.

Fig. 10 Dioniso su carro trainato da coppia di capri.

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La terza scena (fig. 10) mostra dei capri che trainano un carro: sono resi di profilo e volti a sinistra (Malfitana, Scena A). Il carro è condotto da un personaggio maschile che con la destra tiene le briglie. Ne copre la spalla sinistra un vello caprino, mentre il braccio sinistro è piegato e regge un oggetto difficilmente identificabile (forse una cornucopia?). Il carro trasporta un ammasso d’uva sulla cui cima c’è una cesta (liknon). Dal mucchio d’uva spunta un lungo tirso. Sul retro del carro, sulla sporgenza della sua piattaforma, si staglia una figura maschile di aspetto giovanile, probabilmente Dioniso. È ritratto nudo, di profilo e volto a destra, con un tirso appoggiato sulla spalla destra.


L’ultima scena (fig. 11) non è completamente conservata, ma si può chiaramente arguire di che cosa si tratta: un Satiro sostiene Ercole ubriaco (Malfitana, Scena M). Della figura di Ercole è visibile unicamente la metà di sinistra. Ercole è qui ritratto come un giovane muscoloso, visto di schiena, barcollante verso sinistra. Nella mano sinistra tiene uno scifo (scyphus), verso il quale ha inclinato la testa come se volesse berne il contenuto. La seconda figura sullo sfondo, quasi nascosta da Ercole, è un Satiro. Sostiene Ercole con ambedue le mani. Sullo sfondo è rappresentata anche la clava erculea.

Fig. 11 Un Satiro sostiene Ercole ubriaco.

 

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                                       Catalogo

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1. Vaso corinzio (pisside) ricostruito, con fregio a rilievo raffigurante scene di combattimento, di
colore arancione con verniciatura rossa e opaca. Il fondo con il piede, che non è stato trovato, è
stato completamente ricostruito.
N.ro d'inventario.: A-42191
Materiale/tecnica: ceramica; fabbricato tramite stampo e rifinito al tornio
Dimensioni: altezza 8,3 cm; diametro dell'orlo 14,3 cm
Luogo del ritrovamento: Pola, via Kandler, quartiere di S. Teodoro, 6/5/2005
Datazione: fine II sec.-III sec.


2. Vaso corinzio (pisside) ricostruito, con fregio a rilievo raffigurante scene religiose (dionisiache) di
color arancione con verniciatura rossa e opaca. Il fondo con il piede, che non è stato trovato, è stato
completamente ricostruito.
N.ro d'inventario: A-42193
Materiale/tecnica: ceramica; fabbricato tramite stampo e rifinito al tornio
Dimensioni: altezza 8,5 cm; diametro dell'orlo 16,4 cm
Luogo del ritrovamento: Pola, via Kandler, quartiere di S. Teodoro, 6/5/2005
Datazione: fine del II sec.-III sec.



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            Bibliografia
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HILGERS, W. 1969. Lateinische Gefässnamen, Bezeichnungen, Funktion und Form römischer Gefässe nach den antiken Schriftquelle, Dusseldorf.

MALFITANA, D. 2007. La ceramica “corinzia” decorata a matrice. Tipologia, cronologia ed iconografia di una produzione ceramica greca di età imperiale, Rei Cretariae Romanae Fautorum Acta, Supplementum 10, Bonn.

MARDEŠIĆ, J. 2009. Neki oblici istočnomediteranske reljefne keramike iz Arheološkoga muzeja u Splitu, Vjesnik za arheologiju i povijest dalmatinsku (VAPD) 102, 93-108.

SPITZER, D. C. 1942. Roman Relief Bowls from Corinth, Hesperia Vol. 11, No. 2, Apr. - Jun. 1942, 162–192, Princeton, New Jersey.

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Le decorazioni in rilievo su due esemplari di ciotole corinzie

Mostra
Una finestra sul passato
Via Carrara 4, Pola
1. 10. 2024. – 28. 1. 2025.


Autore della mostra e del testo: Tomislav Franić

Organizzatore ed Editore: Museo archeologico dell’Istria

Rappresentante dell’Organizzatore e dell’Editore: Darko Komšo

Redazione: Darko Komšo, Adriana Gri Štorga, Katarina Zenzerović

Autore dell’allestimento, veste grafica: Vjeran Juhas

Autore dei disegni: Ivo Juričić

Autori delle fotografie: Vjeran Juhas, Tomislav Franić

Traduzione italiana: Elis Barbalich-Geromella

Traduzione inglese: Neven Ferenčić

Revisione del testo croato: Milena Špigić

Correzione dei testi: Irena Buršić, Giulia Codacci-Terlević, Adriana Gri
Štorga, Milena Špigić

Stampa: MPS Pula

Tiratura: 500

Pola, 2024.

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